Origini del tatuaggio
Tatuaggio
sul volto di un maori, fotografia fine secolo XIX
Il
tatuaggio è stato impiegato presso moltissime culture, sia antiche che
contemporanee, accompagnando l'uomo per gran parte della sua esistenza; a
seconda degli ambiti in cui esso è radicato, ha potuto rappresentare sia una
sorta di carta d'identità dell'individuo, che un rito di passaggio, ad esempio,
all'età adulta.
Tatuaggi
terapeutici sono stati ritrovati sulla Mummia del Similaun (ca. 3300 a.C.) ritrovata nel 1991 sulle Alpi italiane, altro
ritrovamento con tatuaggi anche piuttosto complessi è quello dell'"uomo di Pazyryk"
nell'Asia centrale con complicati tatuaggi rappresentanti animali o quello
della principessa di Ukok databile
intorno al 500 a .c.
che rappresenta un animale immaginario (cervo e grifone) di un alto livello
artistico, arrivato quasi intatto a noi grazie alla permanenza nel permafrost.[1] Tra le civiltà antiche in cui si
sviluppò il tatuaggio fu l'Egitto ma anche l'antica Roma,
dove venne vietato dall'imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al Cristianesimo ("Non vi farete incisioni nella
carne per un defunto, né vi farete tatuaggi addosso. Io sono il Signore" Levitico 19.28'). È peraltro da rilevare che,
prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente
religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi
per marcare la propria identità spirituale.
È
inoltre attestata nel Medioevo l'usanza dei pellegrini di tatuarsi con simboli
religiosi dei santuari visitati, particolarmente quello di Loreto. Fra i cristiani la
pratica del tatuaggio è diffusa fra i copti monofisiti. Col tatuaggio i copti rimarcano la propria identità
cristiana, i soggetti sono solitamente la croce copta, la natività ed il Santo Mar Corios, martirizzato
sotto Diocleziano e rappresentato in sella ad un cavallo
con un bambino.[2] La Religione
ebraica vieta tutti i
tatuaggi permanenti, come prescritto del Levitico (Vaikrà) (19, 28). In
particolare, l'Ebraismo vieta ogni incisione accompagnata da una marca
indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente.
Anche la Religione musulmana vieta tutti i tatuaggi permanenti,
come spiegato da diversiahadith del
profeta Maometto, sono consentiti
solo i tatuaggi temporanei fatti per mezzo dell'henna, pigmento organico
di color rosso-amaranto, ricavato dalla pianta della "Lawsonia
inermis", "Henna" in arabo. Nella tradizione araba e anche in
quella indiana sono le donne a tatuarsi con l'henna, sia le mani che i piedi;
molte spose vengono completamente tatuate per la loro prima notte di nozze,
infatti la sera prima delle nozze viene chiamata "Lelet al Henna" (la
notte dell'henna). I tatuaggi d'henna sono estremamente decorativi, quasi
sempre con motivi floreali stilizzati; quelli molto elaborati finiscono per
sembrare delle opere d'arte che hanno la durata media di qualche settimana di
vita. Gli uomini musulmani, specialmente i fervidi praticanti sunniti, usano
l'henna per tingersi i capelli, la barba, il palmo delle mani e dei piedi; agli
uomini non è consentito fare tatuaggi decorativi neanche con l'henna. Comunque
c'è da dire che tra i contadini egiziani (usanza molto probabilmente derivante
dall'Antico Egitto)
ed i nomadi musulmani (per lo più quelli sciiti) sia le donne che i
bimbi particolarmente belli, vengono tatuati in maniere permanente con piccoli
cerchietti o sottili linee verticali, sia sul mento che tra le due
sopracciglia. È un'usanza di tipo scaramantica, infatti il colore con cui si
tatuano è l'azzurro, il colore scaramantico per eccellenza fin dal tempo dei faraoni.
Altri
popoli che svilupparono propri stili e significati furono quelli legati alla
sfera dell'Oceania,
in cui ogni particolare zona, nonostante le similitudini, ha tratti
caratteristici ben definiti. Famosi quelliMaori, quelli dei popoli
del monte Hagen, giapponesi, cinesi e gli Inuit anche se praticamente ogni popolazione
aveva suoi caratteristici simboli e significati.
Nella
zona europea il tatuaggio venne reintrodotto
successivamente alle esplorazioni oceaniche del XVIII secolo, che fecero
conoscere gli usi degli abitanti dell'Oceania. Alla fine del XIX secolo l'uso
di tatuarsi si diffuse anche fra le classi aristocratiche europee, tatuati
celebri furono, ad esempio, lo Zar Nicola II e Sir Winston Churchill. È da
segnalare che il criminologo Cesare Lombrosoritenne,
in un'epoca di positivismo, essere il tatuaggio segno di personalità
delinquente. La diffusione del tatuaggio in tutti gli strati sociali e fra le
persone più diverse negli ultimi trent'anni relega tali considerazioni
criminologiche a mera curiosità storica.[3]
Il tatuaggio in Italia
Preistoria
La
pratica del tatuaggio era diffusa già nell'Italia preistorica come testimonia
la mummia di Oetzi, i cui resti sono stati rinvenuti nel ghiacciaio del
Similaun nel 1992. Ma le testimonianze sull'effettiva continuità della pratica
del tatuaggio sono sporadiche. In genere le popolazioni protoceltiche e Liguri erano dedite a tali pratiche.
Antica Roma
Plinio
e Svetonio testimoniano che gli schiavi romani venivano marchiati con le
iniziali del proprio padrone o, nel caso fossero stati sorpresi a rubare, erano
marchiati a fuoco sulla fronte. Lo stesso supplizio venne inflitto ad alcuni
martiri cristiani, come Teofane e Teodosio.
Lo
praticavano i soldati romani che furono influenzati dalle usanze dei Britanni,
con i loro corpi dipinti, e dai Traci, feroci gladiatori spesso tatuati come
testimonia Erodoto, al punto che i legionari iniziarono tatuarsi il nome
dell'Imperatore, sebbene la pratica fosse malvista dalle autorità.
Il fatto che Costantino nel 325 d.c. abbia proibito il tatuaggio sul viso ai
cristiani di tutto l'Impero Romano perché ”deturpava ciò che era stato creato
ad immagine di Dio” fa pensare che ci fosse l'abitudine da parte dei primi
cristiani di marchiarsi per testimoniare la propria fede.
Proibizione
Il
tatuaggio venne di fatto definitivamente proibito da Papa Adriano I nel 787
durante il Concilio di Nicea e tale veto venne ribadito da successive bolle
papali, tanto che questa pratica scompare in ogni cronaca del tempo.
Clandestinità
Nonostante
il divieto ufficiale, l'abitudine a segnare indelebilmente il corpo
sopravvisse, spesso in clandestinità, sopratatutto nelle classi meno abbienti,
fra i soldati e in alcuni luoghi di culto cristiani come il Santuario di
Loreto. Qui, fino alla metà degli anni Cinquanta, esistevano i frati marcatori,
ovvero frati che incidevano piccoli segni devozionali fra i pellegrini.
I segni tatuati nel Santuario di Loreto venivano effettuati sui polsi o sulle
mani ed erano simboli cristiani o soggetti “amorosi”: i primi, inizialmente
molto semplici come una croce o come la rappresentazione delle stigmate, si
fecero via via sempre più complessi come la stilizzazione della stessa Madonna
di Loreto, simboli del proprio ordine religioso, oppure segni marinareschi
poiché i marinai erano i primi difensori della costa adriatica contro gli
invasori turchi.
Gli
attacchi dei pirati inducevano anche gli abitanti della costa a tatuarsi segni
cristiani poiché, in caso di morte violenta, sarebbero stati riconosciuti come
fedeli e dunque sepolti in terra consacrata.
I
tatuaggi a carattere “amoroso” erano invece effettuati dalle spose come
promessa a Dio e augurio e contemplavano soggetti come due cuori trafitti,
frasi o il simbolo dello Spirito Santo. Anche le vedove si tatuavano, in
ricordo del defunto, soggetti come il teschio con le tibie incrociate, il nome
del morto o la frase “memento mori”.
L'inizio della tradizione dei marcatori di Loreto non ha date precise ma si
hanno testimonianze di questa pratica già alla fine del XVI secolo. Spesso
anche i Crociati o i pellegrini in visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme
usavano tatuarsi simboli cristiani poiché, nel timore di essere assaliti e
spogliati di ogni bene, anche oggetti sacri, potessero garantirsi una sepoltura
in terra sacra.
Lombroso
Il
tatuaggio riemerge dall'ombra nella seconda metà del XIX secolo, con la
pubblicazione, nel 1876, del saggio L'uomo
delinquente di Cesare
Lombroso. Egli mette in stretta correlazione il tatuaggio e la degenerazione
morale innata del delinquente: il segno tatuato è fra quelle anomalie
anatomiche in grado di far riconoscere il tipo antropologico del delinquente.
Il delinquente nato mostra specifiche caratteristiche
antropologiche che lo avvicinano agli animali e agli uomini primitivi e l'atto
di tauarsi di criminali recidivi è sintomo di una regressione allo stato
primitivo e selvatico. L'uomo
delinquente però è anche un
catalogo approfondito di tutte le tipologie di tatuaggio che potevano essere
reperite all'epoca: il saggio è ricco di descrizioni di tatuaggi e delle storie
degli uomini che li portano, soldati ma suprattutto detenuti, criminali e
disertori, fornendo così un ampio squarcio sulle usanze del tempo.
Lombroso cataloga i tatuaggi in segno d'amore (iniziali, cuori, versi); simboli
di guerra (date, armi, stemmi); segni legati al mestiere (strumenti di lavoro,
strumenti musicali) animali (serpenti, cavalli, uccelli); tatuaggi di soggetto
religioso (croci, Cristi, Madonne, Santi). In seguito alla diffusione delle
teorie di Cesare Lombroso, il tatuaggio subisce un'ulteriore censura ed è per
questo che, contrariamente ad altri paesi occidentali, non nascono studi e
botteghe professionali fino alla fine degli anni '70.
Nobiltà
Malgrado
la censura di Lombroso, il tatuaggio viene praticato sia in alcuni luoghi
specifici come il Santuario di Loreto e sia presso le famiglie aristocratiche,
tra cui spiccanno i Savoia e i D'aosta. Fra questi Amedeo di Savoia-Aosta eroe
di Amba Alagi, Aimone di Savoia re di Croazia e sua Moglie Irene di Grecia,
Elena di Francia moglie di Emanuele di Savoia-Aosta, Vittorio Emanuele, Maria
Beatrice e Maria Gabriella figli di Umberto II di Savoia
Riscoperta
Dalla
fine degli anni '60 - inizio anni '70 in poi la cultura del tatuaggio ha
conosciuto una progressiva diffusione, prima nelle sottoculture giovani hippy e
fra i motociclisti e poi ha conquistato lentamente ogni strato sociale e ogni
fascia d'età.
Boom
Fra
gli anni '70 e gli anni '80 si affacciano sulla scena italiana i primi
tatuatori professionisti, artisti pionieri della tattoo art in questo paese: a
Milano Gian Maurizio Fercioni che apre il suo Queequeq Tattoo in zona Brera nel
1970; Mino Spadaccini, che apre il suo primo studio, sempre a Milano, nel 1971;
Gippi Rondinella che inizia con il Tattoo Art Studio di Fregene e poi, nel
1986, fonda a Roma il primo studio della città, il Tattooing Demon Studio;
Ciccio Panzacchi che lavora a Bologna fin dagli anni '70; Tommaso Buglioni, Tom Tattoo,
ad Ancona, attivo fin dal 1982 e collaboratore dell'iniziativa editoriale “Il
Segno di Caino” con Gippi Rondinella nel 1985, che apre il suo studio su strada
nel 1987; a Bologna Marco Leoni, che poi si trasferirà a San Paolo dove aprirà,
nel 1980/81 un tattoo studio con Ciccio Panzacchi, e Marco Pisa; Giorgio e
Nando Marini a Torino. La prima tattoo convention internazionale italiana si
tenne a Roma, ai Mercati Traianei nel 1985 organizzata (con il patrocinio di
Renato Nicolini e l'Assessorato alla Cultura di Roma) da Simona
Carlucci,Giorgio Ursini Ursic (dello Studio i) e Don Ed Hardy; da
quell'esperienza nacque il testo “Dall'asino alla zebra”. A quel raduno
internazionale parteciparono i massimi esponenti del mondo del tatuaggio di
allora, da Kandi Everett a Horiyoshi III e Don Ed Hardy
Fonte:it.wikipedia.org/wiki/Tatuaggio
Fonte:it.wikipedia.org/wiki/Tatuaggio